"Aspettarsi che tutti i bambini,della stessa età,imparino allo stesso tempo,usando gli stessi materiali...è come aspettarsi che tutti i bambini della stessa età,indossino allo stesso tempo la stessa taglia di vestiti."
COLLABORANO A QUESTO SITO:Dott.ssa in Giurisprudenza Priscilla Scicolone (Luiss Roma)Dott.ssa in Psicologia Anna La Guzza (Milano)
Docente Universita' Tor Vergata Prof.Aurelio Simone (Roma)
Docente Universita' di Venezia Prof. Enrico Cerni (Venezia)
Dott. Psicoterapeuta Onofrio Peritore (Licata)
Dott. in Psicologia clinica Scicolone Rosario (Lumsa Roma)
Dott. ssa in Danzaterapia (Ada Licata D'Andrea Licata)
Dott. Gianluca Lo Presti Esperto in DSA ADHD
...................................................................................................
GLI ALUNNI DELLA CLASSE1^B:Daniele,Arianna,Roberta,VincenzoP.,Hilary,Gemma,Simona,Alessandro R.,Gaetano,Calogero,Francesco,Flavio,AlessandroS.,Serena,Antonino,Antonio,Giorgia,Ferdinando,Alice,Kadija,Alessia,Karim,Alberto,Vincenzo N.,Edisea,Gabriele. Tutti i genitori degli alunni
Grazie a tutti per la collaborazione
martedì 17 febbraio 2015
sabato 14 febbraio 2015
LETTERA DI UN FIGLIO A TUTTI I GENITORI DEL MONDO.
Non datemi tutto quello che vi chiedo. A volte chiedo solo per riscontrare quanto posso prendere. Non sgridatemi; vi rispetto meno quando lo fate e insegnate a gridare anche a me. Non vorrei imparare a farlo. Mantenete le promesse, belle o brutte. Se promettete un premio, datemelo e comportatevi così anche con le punizioni. Non mi paragonate a nessuno,specialmente a mio fratello o a mia sorella; se mi fate apparire migliore di altri,sarò io a soffrire. Non cambiate parere così spesso su ciò che devo fare; decidetevi a mantenere la vostra decisione. Permettetemi di crescere, fidandovi delle mie capacità. Se voi fate tutto al mio posto, io non potrò imparare mai. Non dite bugie in mia presenza, e non mi piace nemmeno che voi mi chiediate di dirle al vostro posto, neanche per darvi una mano. Questo mi fa sentire male e perdere la fiducia in tutto ciò che dite. Quando sbaglio ammettetelo. Questo aumenterà la mia stima per voi, mi insegnerete così ad ammettere i miei sbagli. Trattatemi con la stessa affabilità e spontaneità che avete verso i vostri amici; essere parenti non vuol dire non poter essere amici. Non mi chiedete di fare una cosa che invece voi non fate, anche se non lo dite; non farò mai ciò che voi dite ma non fate. Quando voglio condividere una mia preoccupazione con voi, non ditemi: "Non abbiamo tempo per stupidaggini" oppure "Non ha importanza, sono cose da ragazzi." Cercate di capirmi e di aiutarmi. Vogliatemi bene e ditemelo. A me piace sentirmelo dire, anche se voi credete che non sia necessario dirmelo. Abbracciatemi, ho bisogno di sentire la vostra amicizia, la vostra compagnia, in ogni momento.
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Una lettera per tutti i genitori preoccupati
Scritto il novembre 23, 2014 by maestraemamma
Una lettera per tutti i genitori preoccupati, una lettera che tocca il cuore e l’anima, una lettera per capire e poi dire grazie ai tanti docenti che ogni giorno aiutano i bambini più “difficili” ad affrontare il loro percorso di crescita.
La lettera e le relative immagini sono originariamente apparsi su The Huffington Post United States. Le parole sono state tradotte dall’inglese.
Caro Genitore,
Lo so. Sei preoccupato. Ogni giorno tuo figlio torna a casa e ti parla di QUEL bambino. Quello che continua a picchiare/spingere/pizzicare/graffiare/e forse perfino mordere gli altri. Quello che devo sempre tenere per mano in corridoio. Quello che ha un suo posto speciale sul tappeto, e a volte siede sulla sedia invece che per terra. Quello che bisogna allontanare dalle costruzioni perché non si tirano i mattoncini. Quella che s’arrampicava sulla recinzione dell’area giochi proprio mentre le dicevo di non farlo. Quello che per rabbia ha versato a terra il latte del compagno di banco. Di proposito. Mentre lo guardavo. Quello che durante l’ora di ginnastica ha sfoderato addirittura un “VAFFA”.
Ti preoccupa che QUEL bambino interferisca con l’apprendimento di tuo figlio. Ti preoccupa che finisca con l’occupare tutto il mio tempo e le mie energie, e che per questo tuo figlio non potrà godere dell’attenzione che gli spetta. Ti preoccupa che un giorno finisca per far del male a qualcuno. Ti preoccupa che quel “qualcuno” possa essere proprio tuo figlio. Ti preoccupa che quella bambina inizi ad essere aggressiva per ottenere ciò che vuole. Ti preoccupa che tuo figlio possa restare indietro con gli studi perché potrei non fare caso al fatto che fa fatica a tenere in mano la matita. Lo so.
Google, Vint Cerf lancia l'allarme: "Dietro di noi un deserto digitale, un altro Medioevo. Se tenete a una foto, stampatela"
La tecnologia digitale rischia di trasformare il ventunesimo secolo in un nuovo Medioevo, un’epoca quasi inaccessibile alla storia. Un allarme paradossale, ancora di più considerandone l’origine: il Dottor Vinton “Vint” Cerf, uno dei "padri di internet", oggi vicepresidente di Google, dove lavora da dieci anni con la carica di “Chief Internet Evangelist” (letteralmente, Evangelista-Capo di Internet). Bene, ora Cerf ci mette in guardia sul “buco nero” verso cui, inconsapevolmente, ogni giorno spingiamo i nostri documenti più cari e importanti: testi, fotografie, video che parlano delle nostre vite, ma anche documenti legali, testimonianze, informazioni
mercoledì 11 febbraio 2015
Il bullismo nella scuola: perchè alcuni bambini diventano bulli
Cos'è il bullismo
Mario Di Pietro
Durante la ricreazione, Alessandro, un alunno di seconda media, si avvicina a Luca e mentre con una mano gli torce il braccio dietro la schiena, con l’altra gli punta un coltellino sotto la gola costringendolo a ripetere davanti a un gruppo di compagni: ”Sono il tuo schiavo e tu sei il mio padrone”. Nonsiamo in una scuola del Bronx , ma in una scuola media del Veneto.
Da diverso tempo anche in Italia il fenomeno del bullismo viene riconosciuto come uno spiacevole aspetto della vita scolastica. E' opportuno però fare una chiarificazione terminologica: bullismo è la traduzione letterale della parola inglese "bulling" che ha un significato un po' diverso rispetto all'accezione italiana. Tradizionalmente, nel nostro Paese viene considerato "bullo" un individuo dotato di molto esibizionismo, piuttosto sbruffone, che ama fare il gradasso e che spesso tende a prevaricare, senza mai però raggiungere quelle caratteristiche di cattiveria e di sadismo che invece sono tipici del fenomeno del bullismo così come viene spesso osservato in ambito scolastico. E’ quindi da considerare impropria la traduzione del termine “bulling” con bullismo, anche se ormai tale errata traduzione è ampiamente diffusa nel nostro Paese.
Varie ricerche sull’argomento hanno evidenziato alcuni fattori che possono predisporre alcuni alunni ad assumere il ruolo di bulli:
Pensano che la prepotenza paghi; in qualche scuola i prepotenti sono ammirati dagli altri, riescono ad ottenere quello che vogliono ed hanno meno probabilità degli altri di essere vittimizzati.
Sono aggressivi ed impulsivi, il che li rende costituzionalmente più inclini ad intraprendere comportamenti da bullo.
Si compiacciono della sottomissione degli altri, trovano gratificante dominare gli altri e ottenere da loro accondiscendenza e complicità.
Fare i prepotenti è coerente con l'immagine potente o di duro; si tratta di uno stereotipo diffuso specialmente tra i maschi, ma sempre più anche nelle femmine.
Sembra una cosa divertente, specialmente quando si fa parte di un gruppo che molesta qualcuno.
Hanno livelli relativamente bassi di empatia, per cui il prepotente è insensibile all'evidente sofferenza degli altri.
Il pregiudizio li porta a credere che alcuni tipi di persone si meritino di essere prevaricati; ad esempio, persone di un gruppo etnico differente o ad orientamento sessuale diverso.
Una generale ostilità verso gli altri che è stata generata da esperienze negative con genitori e parenti, specialmente il sentirsi non amati e/o ipercontrollati.
Sono stati influenzati da "modelli" aggressivi, nella vita reale e/o guardando film e video violenti.
La vittima è percepita come se avesse provocato il trattamento negativo; comunemente, i bulli considerano il proprio comportamento prevaricatore come una "vendetta".
Una monotonia cronica a scuola può portare comportamenti prevaricanti come mezzo per rendere la vita scolastica più interessante.
ll raggiungimento dell’obiettivo desiderato è considerato più importante dei brutali mezzi impiegati per ottenerlo. Ciò si applica in particolar modo ad alcune persone che si trovano ad occupare una posizione di controllo e di potere.
Lo considerano parte della loro condizione; ad esempio in seguito al fatto di essere sempre stati trattati come alunni particolarmente problematici.
venerdì 6 febbraio 2015
Catullo. Poesia e rivoluzione
La prima video-lezione per il modulo in flipped learning su Catullo: brevi note biografiche, Cesare, Cicerone e Lesbia. I poetae novi.
La scongiuro signora preside, vieti a noi studenti di usare il cellulare in classe
di Marcella Manghi 4 febbraio 2015
Gentilissima Preside,
mi chiamo A. e frequento questo liceo, in quale classe non importa. Le scrivo dopo che ieri sera ho parlato su skype con Giulia, una mia cugina di secondo grado che vive a New York da quasi quattro anni. Mi ha detto che lì da loro, d’ora in avanti, gli studenti potranno di nuovo usare il cellulare in classe. A deciderlo è stato il sindaco della città – De Blasio – che ha revocato il divieto imposto dal suo predecessore. Motivo della concessione: soddisfare l’esigenza dei genitori di poter contattare i figli in ogni momento.
La faccio breve: le chiedo – se mai dovesse arrivare anche nel nostro Paese una simile direttiva – di trovare un escamotage per non seguirla. Insomma: ci lasci il divieto di portare il telefono in classe. Ne abbiamo diritto! Per diversi e più che ragionevoli motivi.
Uno. Ci sono già tante scelte da prendere in sei ore di lezione, che lei non immagina: la seconda guerra punica iniziò nel 208 o nel 218 a. C.? Il passato remoto di ‘cuocere’ è più cosse o cuocè? Per non parlare del coefficiente di rifrazione… Non mi faccia anche scegliere tra la melanzana alla parmigiana o l’insalata di pollo per la cena. Capisco che mia madre infili una mezza spesa nella pausa caffè, ma c’è un tempo per ogni cosa.
Due. Se mai un giorno – lo dico in via del tutto ipotetica, sia ben chiaro – dovessi per sbaglio marinare la scuola, la questione della reperibilità mi renderebbe tutto molto più difficile. Non impossibile, certo, ma giustificare lo sferragliare del tram che attraversa Via Torino mette alla prova anche gli studenti più brillanti in scrittura creativa.
Tre. Dopo la lezione di ginnastica, non mi sento proprio un fior di loto. Se poi arranco paonazza dalla palestra su per le scale con la sacca semiaperta sul calzino in una mano e la fiesta-al-cioccolato nell’altra (sì, sono una delle poche che ancora si concede lo sfizio dell’elementare merendina), non voglio essere immortalata nel cellulare di qualche altro studente. Magari così galantuomo da ingrandir l’immagine, mettere bene a fuoco i miei sboccianti foruncoletti frontali e diffonderla prima ancora che io abbia messo piede in classe.
Quattro. Ma soprattutto, mi liberi dalla tentazione infernale di parafrasar Dante copiando dal display. Mi lasci – almeno per qualche ora – la trepida curiosità di sapere se F.–di-quinta ha risposto al mio messaggio di ieri sera. Mi educhi insomma all’attesa di scoprire solo alle due del pomeriggio cosa succede fuori dalla scuola. Voglio solo che tutto resti com’è ora: un liceo da cui si esce ogni giorno all’ora di pranzo affamati di pasta e novità. Non le chiedo altro.
Certa che vorrà tenere in considerazione questa mia mozione, le auguro di cuore buon proseguimento.
Cordialmente, A.
@marcellamanghi
Foto cellulare da Shutterstock
Gentilissima Preside,
mi chiamo A. e frequento questo liceo, in quale classe non importa. Le scrivo dopo che ieri sera ho parlato su skype con Giulia, una mia cugina di secondo grado che vive a New York da quasi quattro anni. Mi ha detto che lì da loro, d’ora in avanti, gli studenti potranno di nuovo usare il cellulare in classe. A deciderlo è stato il sindaco della città – De Blasio – che ha revocato il divieto imposto dal suo predecessore. Motivo della concessione: soddisfare l’esigenza dei genitori di poter contattare i figli in ogni momento.
La faccio breve: le chiedo – se mai dovesse arrivare anche nel nostro Paese una simile direttiva – di trovare un escamotage per non seguirla. Insomma: ci lasci il divieto di portare il telefono in classe. Ne abbiamo diritto! Per diversi e più che ragionevoli motivi.
Uno. Ci sono già tante scelte da prendere in sei ore di lezione, che lei non immagina: la seconda guerra punica iniziò nel 208 o nel 218 a. C.? Il passato remoto di ‘cuocere’ è più cosse o cuocè? Per non parlare del coefficiente di rifrazione… Non mi faccia anche scegliere tra la melanzana alla parmigiana o l’insalata di pollo per la cena. Capisco che mia madre infili una mezza spesa nella pausa caffè, ma c’è un tempo per ogni cosa.
Due. Se mai un giorno – lo dico in via del tutto ipotetica, sia ben chiaro – dovessi per sbaglio marinare la scuola, la questione della reperibilità mi renderebbe tutto molto più difficile. Non impossibile, certo, ma giustificare lo sferragliare del tram che attraversa Via Torino mette alla prova anche gli studenti più brillanti in scrittura creativa.
Tre. Dopo la lezione di ginnastica, non mi sento proprio un fior di loto. Se poi arranco paonazza dalla palestra su per le scale con la sacca semiaperta sul calzino in una mano e la fiesta-al-cioccolato nell’altra (sì, sono una delle poche che ancora si concede lo sfizio dell’elementare merendina), non voglio essere immortalata nel cellulare di qualche altro studente. Magari così galantuomo da ingrandir l’immagine, mettere bene a fuoco i miei sboccianti foruncoletti frontali e diffonderla prima ancora che io abbia messo piede in classe.
Quattro. Ma soprattutto, mi liberi dalla tentazione infernale di parafrasar Dante copiando dal display. Mi lasci – almeno per qualche ora – la trepida curiosità di sapere se F.–di-quinta ha risposto al mio messaggio di ieri sera. Mi educhi insomma all’attesa di scoprire solo alle due del pomeriggio cosa succede fuori dalla scuola. Voglio solo che tutto resti com’è ora: un liceo da cui si esce ogni giorno all’ora di pranzo affamati di pasta e novità. Non le chiedo altro.
Certa che vorrà tenere in considerazione questa mia mozione, le auguro di cuore buon proseguimento.
Cordialmente, A.
@marcellamanghi
Foto cellulare da Shutterstock
giovedì 5 febbraio 2015
Albert Einstein – La sua lettera per la figlia Lieserl…
Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono,
e anche quello che rivelerò a te ora,
perché tu lo trasmetta all’umanità,si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per
tutto il tempo necessario, anni, decenni,
fino a quando la società sarà progredita abbastanza
per accettare quel che ti spiego qui di seguito.
Vi è una forza estremamente potente per la quale
la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.
È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno
che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile
e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo
che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica
il meglio che è in noi, e permette che l’umanità
non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore.
Questa forza spiega il tutto e
dà un senso maiuscolo alla vita.
Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo
non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice
sostituzione nella mia più celebre equazione.
Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo
può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato,
giungeremo alla conclusione che l’amore è
la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo
delle altre forze dell’universo,
che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento
di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva,
se vogliamo trovare un significato alla vita,
se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita,
l’amore è l’unica e l’ultima risposta.
Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore,
un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio,
l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.
Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,
vedremo come l’amore vince tutto,
trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere
ciò che contiene il mio cuore,
che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo,
ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.
Tuo padre Albert Einstein
Chi studia musica a scuola protegge il cervello quando sarà anziano
Alessandro Giuliani
Lo sostengono dei ricercatori del Rotman Research Institute di Toronto: gli studiosi hanno dimostrato che l'educazione musicale, se fatta in età giovanile, produce benefici nella terza età, aiutando a fronteggiare meglio il decadimento cognitivo e prevenire la perdita delle competenze di linguaggio e ascolto.
Lo studio della musica in età precoce protegge il cervello da anziani. A sostenerlo sono un gruppo di ricercatori del Rotman Research Institute di Toronto, attraverso uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience: gli esperti canadesi hanno dimostrato che l'educazione musicale, se fatta da bambini, produce benefici anche nella terza età, aiutando a fronteggiare meglio il decadimento cognitivo e prevenire la perdita delle competenze di linguaggio e ascolto.
Dalla ricerca è infatti emerso che gli anziani che avevano studiato musica da bambina erano del 20% più veloci nell'identificare i suoni e i testi dei discorsi rispetto ai loro coetanei. Una qualità già osservata anche nei giovani che hanno studiato musica. Tra le funzioni cognitive che possono peggiorare con l'età c'è infatti la comprensione dei discorsi, anche quando non si hanno problemi di udito.
Già precedenti studi avevano confermato che il sistema uditivo centrale del cervello, che aiuta ad analizzare, sequenziare e identificare le caratteristiche acustiche del discorso, si indebolisce con gli anni. Ma iniziando a studiare uno strumento musicale prima dei 14 anni e continuando a farlo per 10 anni si potenziano le aree chiave del cervello deputate al riconoscimento delle parole. Un beneficio che si mantiene anche quando si è anziani.
In conclusione, la risposta del cervello è migliore di 2 anche 3 volte nei vecchi musicisti rispetto ai coetanei non musicisti. Il cervello degli anziani che hanno studiato musica riesce infatti a descrivere in modo più dettagliato, limpido e accurato i suoni dei discorsi, cosa che consente loro di capire meglio quanto stanno ascoltando, aiutando così a fronteggiare il declino cognitivo provocato dall'età. Pertanto, il ruolo della musica è importante sia sui banchi di scuola, sia nei programmi di riabilitazione della terza età.
Lo sostengono dei ricercatori del Rotman Research Institute di Toronto: gli studiosi hanno dimostrato che l'educazione musicale, se fatta in età giovanile, produce benefici nella terza età, aiutando a fronteggiare meglio il decadimento cognitivo e prevenire la perdita delle competenze di linguaggio e ascolto.
Lo studio della musica in età precoce protegge il cervello da anziani. A sostenerlo sono un gruppo di ricercatori del Rotman Research Institute di Toronto, attraverso uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience: gli esperti canadesi hanno dimostrato che l'educazione musicale, se fatta da bambini, produce benefici anche nella terza età, aiutando a fronteggiare meglio il decadimento cognitivo e prevenire la perdita delle competenze di linguaggio e ascolto.
Dalla ricerca è infatti emerso che gli anziani che avevano studiato musica da bambina erano del 20% più veloci nell'identificare i suoni e i testi dei discorsi rispetto ai loro coetanei. Una qualità già osservata anche nei giovani che hanno studiato musica. Tra le funzioni cognitive che possono peggiorare con l'età c'è infatti la comprensione dei discorsi, anche quando non si hanno problemi di udito.
Già precedenti studi avevano confermato che il sistema uditivo centrale del cervello, che aiuta ad analizzare, sequenziare e identificare le caratteristiche acustiche del discorso, si indebolisce con gli anni. Ma iniziando a studiare uno strumento musicale prima dei 14 anni e continuando a farlo per 10 anni si potenziano le aree chiave del cervello deputate al riconoscimento delle parole. Un beneficio che si mantiene anche quando si è anziani.
In conclusione, la risposta del cervello è migliore di 2 anche 3 volte nei vecchi musicisti rispetto ai coetanei non musicisti. Il cervello degli anziani che hanno studiato musica riesce infatti a descrivere in modo più dettagliato, limpido e accurato i suoni dei discorsi, cosa che consente loro di capire meglio quanto stanno ascoltando, aiutando così a fronteggiare il declino cognitivo provocato dall'età. Pertanto, il ruolo della musica è importante sia sui banchi di scuola, sia nei programmi di riabilitazione della terza età.
domenica 1 febbraio 2015
MISOFONIA
Misofonia
Ci sono dei suoni che vi danno particolare fastidio, come il rumore di chi si soffia il naso, mastica o deglutisce, oppure il clic del mouse?
Potrebbe essere un problema di misofonia, l’avversione per uno o più suoni specifici che invece ad altri non creano alcun disagio.
Si differenzia dall’iperacusia, che invece è una patologia caratterizzata da un aumento della sensibilità uditiva, ad es. a causa di infiammazioni, e dalla fonofobia, un disturbo psichico che si manifesta con un terrore ossessivo dei suoni intensi.
Non va confusa con la misofobia, la paura morbosa di sporcarsi a contatto di determinati oggetti che spinge ad adottare misure igieniche esagerate.
Qualche nota lessicale
Misofonia, iperacusia, fonofobia e misofobia sono esempi di composizione neiclassica (o confissazione), parole ottenute con elementi formativi delle lingue classiche, come miso- e -fonia dal greco μισο- , odio, e ϕωνή, suono (misofobia invece deriva da μύσος “sozzura”).
Come già accennato in Terminologia medica inglese e italiana, in inglese i termini di origine greca e latina risultano poco trasparenti e spesso esistono nomi alternativi: per misofonia selective sound sensitivity syndrome e sound rage, riportati dal sito Misophonia.
Ho dato un’occhiata a Misophonia arrivandoci da Does chewing, tapping and typing send you into a rage? e lo consiglio a chi insegna inglese: gli elenchi di stimoli sonori che possono suscitare reazioni negative mi sembrano molto utili per l’arricchimento lessicale!
Per mouth and eating, ad esempio, si trovano “ahhs” after drinking, burping, chewing, crunching (ice, other hard food), gulping, gum chewing and popping, kissing sounds, nail biting, silverware scraping teeth or a plate, slurping, sipping, licking, smacking, spitting, sucking (ice, etc) swallowing, talking with food in mouth, tooth brushing, flossing, tooth sucking, lip smacking, wet mouth sounds, grinding teeth, throat clearing, jaw clicking.
. Licia
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