"Aspettarsi che tutti i bambini,della stessa età,imparino allo stesso tempo,usando gli stessi materiali...è come aspettarsi che tutti i bambini della stessa età,indossino allo stesso tempo la stessa taglia di vestiti."
COLLABORANO A QUESTO SITO:
Dott.ssa in Giurisprudenza Priscilla Scicolone (Luiss Roma)
Dott.ssa in Psicologia Anna La Guzza (Milano)
Docente Universita' Tor Vergata Prof.Aurelio Simone (Roma)
Docente Universita' di Venezia Prof. Enrico Cerni (Venezia)
Dott. Psicoterapeuta Onofrio Peritore (Licata)
Dott. in Psicologia clinica Scicolone Rosario (Lumsa Roma)
Dott. ssa in Danzaterapia (Ada Licata D'Andrea Licata)
Dott. Gianluca Lo Presti Esperto in DSA ADHD
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GLI ALUNNI DELLA CLASSE
1^B:Daniele,Arianna,Roberta,VincenzoP.,Hilary,Gemma,Simona,Alessandro R.,Gaetano,Calogero,Francesco,Flavio,AlessandroS.,Serena,Antonino,Antonio,Giorgia,Ferdinando,Alice,Kadija,Alessia,
Karim,Alberto,Vincenzo N.,Edisea,Gabriele. Tutti i genitori degli alunni

Grazie a tutti per la collaborazione

mercoledì 14 dicembre 2016

LA VITA SCOLASTICA
teatro scuolaIl teatro a scuola è il momento più adatto per invitare i bambini a porsi in maniera empatica nei confronti dei compagni in modo concreto e non teorico. Un aiuto anche per affrontare i casi di bullismo
Il teatro scolastico è il momento più adatto per invitare l’alunno a porsi in maniera empatica nei confronti dei suoi compagni in modo concreto e non teorico. Quante volte ci troviamo a dire: "Prova a metterti nei miei panni!” quando sentiamo di non essere compresi; in inglese similmente si usa l’espressione “to be in someone’s else shoes”. Tutti i più autorevoli dizionari di lingua italiana concordano nel definire l’empatia come la capacità di porsi nella situazione o meglio, nello stato d’animo, di un’altra persona.
Questo è un concetto che sta suscitando interesse (e giustament,e aggiungo io) negli ambienti scolastici perché, ispirandosi alle esperienze del Nord Europa, si vuole aiutare i bambini a capire meglio se stessi anche attraverso la comprensione del prossimo.
Prima lezione: presentiamoci
Durante la mia prima lezione di teatro per esempio invito sempre ogni bambino ad andare in scena davanti agli altri e presentarsi (pur sapendo che magari se sono in quinta si conoscono anche da cinque anni) dicendo nome, età e poi la cosa che più amano fare e la cosa che più detestano; dopo questa breve presentazione faccio fare
domande per alzata di mano ai loro compagni cercando lievemente di indirizzarli, invitando i ragazzi non tanto a chiedere qual è il colore preferito o la squadra di calcio più amata ma piuttosto cosa prova in quel momento l’attore/allievo in scena, come va la sua vita in generale, cosa cambierebbe se potesse e così via. Ed è in questo momento, spesso per la prima volta, che i compagni fanno domande profondamente empatiche.
Il teatro, attraverso il metodo dell’improvvisazione, permette ampi spazi di approfondimento dell’empatia attraverso la messa in scena (“essere nei panni di”) di una situazione che è stata fonte di difficoltà o dolore per qualcuno.
Aprirsi agli altri: a teatro si può
Poco tempo fa in una quinta elementare una bambina si è messa a piangere durante la sua presentazione perché i genitori si stanno separando (credo che aprirsi con i propri compagni sia un atto di grande coraggio per i bambini e il teatro è “la scena giusta” perché questo accada). A quel punto mi sono girato verso gli altri compagni e ho chiesto loro che consiglio avrebbero potuto dare a Luisa (nome di fantasia) in questa situazione; all’inizio sono stati dati suggerimenti assolutamente non empatici ma di circostanza del tipo “ma vedrai che alla fine tutto si sistema” oppure “avrai due stanze piene di giochi tutte per te” ecc… Ad un certo punto, però, alza la mano Piero, un ragazzino che era già stato indicato da altri compagni come quello che prende in giro tutti, e dice: “non è vero che si sistema tutto, è una cosa che fa piangere e speri sempre che tutto torni come prima ma in realtà non accade mai”. Io gli chiedo come faccia a dire questo e lui mi risponde che anche i suoi genitori sono separati da due anni, che suo padre si era risposato e aveva un fratellino acquisito di sei anni che non sopportava.
A quel punto gli ho chiesto di andare in scena per fare un esercizio con Luisa. Con suo grande stupore ci va e chiedo loro di interpretare una situazione in cui sono fratelli: lei entra in cucina e trova che il fratello non ha apparecchiato per la terza sera consecutiva e quindi deve protestare vivamente visto che questa è l’unica cosa che i loro genitori hanno chiesto di fare. La scena viene bene e Luisa, nonostante la timidezza iniziale, riesce a portare nella recitazione una voce forte e autorevole che mette in riga l’altro, alla fine scoppiano in una risata di divertimento e gioia; a conclusione prima di rimandarli a posto chiedo che fratelli avevano pensato di essere e tutti e due hanno risposto fratelli di un solo genitore.
Ho chiesto un applauso per i due attori, li ho fatti tornare a posto e a questo punto ho chiamato altri due ragazzi, un maschio e una femmina, che interpretassero due ragazzi con genitori separati e la madre di una andrà a vivere insieme con il padre dell’altro, nello specifico dovranno improvvisare una scena in cui dovranno decidere le stanze della nuova casa. È venuta fuori una scena estremamente toccante e delicata dove i ragazzi hanno potuto capire cosa provano davvero i compagni che hanno genitori separati o situazioni simili.
Bulli non si nasce, si diventa: l'approccio empatico del teatro
Attraverso l’immedesimazione teatrale del pubblico, questo approccio empatico viene vissuto quasi nella stessa forma anche dal pubblico che segue la scena.
Quindi l’empatia è una conseguenza necessaria di un teatro che nasce dalle emozioni e delicatamente dal vissuto dei bambini stessi che possono rivivere, o far rivivere ad altri, situazioni ed eventi per loro dolorosi creando un sottile filo di appartenenza che lega indissolubilmente il gruppo.
Tutto questo aiuta anche chi non è tanto vittima ma autore di atti di bullismo; spesso infatti mi è capitato di notare che il bambino “bullo” non è nato tale ma ha sempre, o quasi sempre, una situazione difficile familiare alle spallei (e anche davanti, vista la prospettiva di dover rimanere in quella famiglia per svariati anni); questa situazione lo porta spesso a vivere un senso di isolamento emozionale quindi non crede che interessi a nessuno la sua situazione, non ne vuole parlare e per distrarre l’attenzione da sé concentra la sua aggressività su altri.
L’approccio empatico teatrale, il far rivivere cioè in scena attraverso l’improvvisazione degli attori/alunni situazioni anche dolorose di cui si è parlato in classe, è un ottimo modo per capire, di testa ma anche di pancia, che tutti hanno delle difficoltà e dei dolori nella vita e che fondamentalmente possiamo scegliere di non essere soli nelle avversità perché possiamo sempre trovare qualcuno che ci accolga e ci capisca. Anche questo è teatro.
Un ultimo accorgimento: penso che questo tipo di approccio debba essere portato avanti nelle scuole da personale teatralmente qualificato.