Il filosofo Galimberti a ruota libera su docenti, genitori, scuola-lavoro e ragazzi
Occorrerebbe avere insegnanti affascinanti e invece i ragazzi si devono ritenere fortunati se su nove insegnanti ne hanno due carismatici. Lo ha detto il filosofo Umberto Galimberti, intervenuto ieri al Forum Monzani alla presentazione del suo ultimo libro intitolato “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo”, edito da Feltrinelli. «Prima di essere mandati in cattedra, gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità, per comprendere se hanno la passione dell’insegnamento», prosegue. «Ma i genitori devono difendere sempre gli insegnanti altrimenti minano la sfera dell’affettività e dunque la crescita dei loro figli. Alle maestre occorrerebbe dare lo stipendio dei professori universitari perché fanno un lavoro pazzesco». Altro che aggredire gli insegnanti con pugni e calci, magari davanti a loro. «Se i genitori parlano male delle maestre devono sapere che stanno violentando la sfera dell’affettività del bambino. Una delle prime manifestazioni della schizofrenia, che notiamo alla fine dell’adolescenza, è la scissione dell’affettività. Non diventano tutti schizofrenici ma certo questa cosa non contribuisce alla sfera armonica dell’affettività. Se uno parla male dell’altro, poi il bambino non ci si fida di nessuno, ma poi non ci meravigliamo che da più grandi combina dei guai e lo troviamo a lanciare sassi dai cavalcavia o a fare il bullo». Galimberti espellerebbe «dalle scuole i genitori, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge. E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, devono imparare a vedere che cosa sanno fare da soli. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta. E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? È folle. In altri Paesi in treno i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole?». Una riflessione infine per il «desiderio distrutto dai tanti giocattoli regalati” e per l’assenza di padri e madri che a causa del lavoro delegano tutto alla baby sitter, alla tivù e allo smartphone. Poi però le mappe cognitive e quelle affettive, indispensabili per la crescita, si costruiscono come possono, cioè a caso». di Vincenzo Brancatisano